Devo assolutamente dire che le foto meravigliose dei miei prodotti a catalogo le ha fatte la mia amica Francy che fa la fotografa non per professione ma per passione. Grazie Francy. La cosa bella che si aggiunge alle foto è che la Francy mi ha portato un racconto. La Francy va a un corso di fotografia a Torino, non un corso qualsiasi, un workshop tenuto da un fotografo di fama internazionale, tra gli argomenti discussi gli effetti della consuetudine delle ultime generazioni all’esposizione dell’obiettivo fotografico, della cinepresa, della telecamera, videocamera, fotocamera…… Sembrerebbe che questa familiarità induca il soggetto fotografato e/o ripreso a mettere in atto una competenza, una risposta controllata del corpo e del viso, una posa, spinto da un sapere, probabilmente vista l’importanza dell’apparire della nostra civiltà, dalla sua idea di miglior risultato fotogenico, e siccome spesso questa idea non è sua ma conformata ai canoni estetici dominanti, il risultato è una posa standardizzata che uccide la spontaneità e la naturalezza e dunque la bellezza del ritratto. Ecco perché, ha detto il fotografo, dei ritratti scattati in epoche passate diciamo con stupore “come sono belli”.
Perché in quei casi, il fotografo aveva colto la spontaneità, la naturalezza, l’essere così com’è, cosa così difficile a farsi oggi. Ecco perchè nel mio personale “pinterest” ci sono delle foto prese in rete che ho salvato perché è un piacere guardarle ….. per la loro a volte straripante, a volte vitale, a volte naturale, semplice bellezza.
http://pinterest.com/boosgrammy/only-marilyn/
www.newwavefilm.com
http://www.josephbellows.com/artists/andre-de-dienes/#3
http://4.bp.blogspot.com/
Non so perché ma la “messa in posa”, l’assumere una determinata espressione davanti all’obiettivo di un fotografo o chi per lui, che poi chi non lo fa, mi fa venire in mente un breve racconto , si “Il Sarto” tratto da “Donne che corrono coi lupi” di Clarissa Pinkola Estés, eccolo qui: [“ Un uomo andò da uno szabò, un sarto, e provò un abito. Stando davanti allo specchio vide che l’orlo del panciotto era irregolare. “Oh” disse il sarto, “non si preoccupi. Tenga giù la parte più corta con la mano sinistra, e nessuno se ne accorgerà”. Mentre il cliente seguiva il consiglio, osservò che il risvolto della giacca si arrotondava, invece di restare piatto. ”Questo?” disse il sarto. “Ma non è niente. Giri un poco la testa e tenga giù il mento”. Il cliente accondiscese, ma intanto osservò che il cavallo dei pantaloni era un po’ corto e stringeva un po’. “Oh, non si preoccupi di questo”, disse il sarto. “Tenga giù il cavallo con la mano destra, e sarà perfetto”. Il cliente acconsentì e acquistò l’abito. Il giorno dopo indossò il vestito nuovo con tutte le “alterazioni” portate da mani e mento. Mentre passava per il parco con il mento che teneva giù il risvolto, una mano che tirava giù il panciotto e l’altra il cavallo dei calzoni, due vecchi smisero di giocare a scacchi per guardarlo mentre passava. “M’Isten, Dio mio!” esclamò il primo. “Guarda quel povero storpio!” L’altro riflettè un momento, poi sussurrò: “Igen, si è davvero storpio, poveretto, ma mi chiedo dove avrà trovato un vestito così bello”.]
Ecco si, il punto è questo, l’innaturale si vede. Che poi tutti quei suggerimenti che si trovano anche in rete per risultare belle e fotogeniche , del tipo schiaccia la lingua contro il palato, abbassa il mento, alza leggermente la spalla, socchiudi gli occhi non son niente volendo paragonarli alla gestualità dei politici. A tal proposito leggo e spizzico qua e là dall’articolo “Potenza (comunicativa) del corpo” di Eliana di Caro- Il Sole 24 ore Domenica 28 aprile 2013 [“… i media non solo colgono ogni sfumatura e amplificano ogni dettaglio, ma impongono ai politici di studiare una “messa in scena” strategica della loro fisicità per trarne il massimo vantaggio a livello comunicativo e sul piano del consenso. «Il corpo parla. Si intuisce subito, dal colore della pelle e degli occhi, la provenienza geografica, così come da movimenti e gestualità spesso si desume il ceto sociale», spiega Diehl in un colloquio a margine del festival «La storia in piazza», chiusosi a Genova lo scorso 21 aprile. «Chi rappresenta le istituzioni usa codici precisi, con il corpo esprime la propria identità ma anche il proprio ruolo politico”]. (leggi su http://24o.it/w5BHE) ] Sarà “messa in scena strategica “ ..sarà vero si … ma non tanto tempo fa, ricordo una mano vista in tv, quella del Presidente del Consiglio, che si muoveva a sottolineare probabilmente il contenuto del discorso ma la gestualità, o meglio il senso che comunicava, proprio non c’entrava con quello che stava dicendo, che ho riso alle lacrime. E mi è venuto in mente “Il discorso del Presidente” di Oliver Sacks nel “L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello”
[“ Che diavolo succedeva? Uno scroscio di risa dal reparto afasici, proprio all’inizio del discorso del Presidente, che tutti erano così ansiosi di sentire… Eccolo là, il vecchio Seduttore, l’Attore con la sua consumata retorica, il suo istrionismo, la sua bravura nel far leva sulle emozioni.. e i pazienti si torcevano tutti dal ridere! Be’, non proprio tutti: alcuni erano sconcertati, altri scandalizzati, uno o due preoccupati, ma la maggior parte pareva divertirsi un mondo. Il Presidente, come sempre, toccava il tasto della commozione; ma ora, a quanto pareva, ne ricavava soprattutto ilarità. Che cosa succedeva a tutti quanti? Che cosa credevano? Non riuscivano a capirlo? O forse lo capivano fin troppo bene? Spesso di questi pazienti, persone intelligenti ma affette da una gravissima afasia percettiva o globale che le rendeva incapaci di capire le parole come tali, si diceva che ciò nonostante capivano la maggior parte di quanto veniva loro detto. Questo perché, se ci si rivolgeva loro con naturalezza, essi afferravano in parte o quasi completamente il senso della frase o del discorso. (…) Perché tutto questo? Perché il linguaggio, il linguaggio naturale non consiste di sole parole, (…). Esso consiste di espressione, dell’espressione di tutto il proprio pensiero con tutto il proprio essere, la cui comprensione implica molto più del semplice riconoscimento delle parole. Questa era la chiave per capire il modo di capire degli afasici anche quando sono del tutto incapaci di capire le parole in sé. Perché anche se le parole, le costruzioni verbali, di per sé a volte non trasmettono nulla, il linguaggio parlato è di solito soffuso di “tono”, circondato da un’espressività che trascende il verbale; ed è appunto questa espressività, così profonda, così varia, così complessa, così sottile, che è perfettamente conservata nell’afasia, nonostante sia distrutta la capacità di comprendere le parole. Conservata, e spesso addirittura straordinariamente potenziata. (…) Di qui, talvolta, l’impressione – mia e di tutti noi che lavoriamo a stretto contatto con gli afasici – che a un afasico non si può mentire. Egli non riesce ad afferrare le tue parole, e quindi non può essere ingannato; ma l’espressione che accompagna le parole, quell’espressività totale, spontanea, involontaria,,, che non può mai essere simulata o contraffatta, come possono esserlo, fin troppo facilmente le parole, …tutto questo egli lo afferra con precisione infallibile. (…) In questo risiede dunque la loro capacità di comprensione: possono capire, senza le parole, ciò che è genuino o non lo è. Erano quindi le smorfie, gli istrionismi, i gesti e soprattutto i toni e le cadenze della voce a suonare falsi per questi pazienti privi di parola ma dotati di un’immensa sensibilità. E perciò, non ingannati e non ingannabili dalle parole, essi reagivano a queste incongruità e improprietà che apparivano loro smaccate e addirittura grottesche. Ecco perché ridevano al discorso del Presidente. (…) Noi normali, indubbiamente aiutati dal nostro desiderio di essere menati per il naso, fummo veramente menati per il naso (populus vult decipi, ergo decipiatur). E così astuta era stata la combinazione di un uso ingannevole delle parole con un tono ingannatore che solo i cerebrolesi ne rimasero indenni, e sfuggirono all’inganno.”]
Commenti recenti